Non è il mio anno. Prima la sincope dopo Tuttadritta e ora una frattura di clavicola. Una stupida caduta in un'altrettanto stupido giretto in mtb. Sottovaluto un salto in discesa e mi ribalto. Cado sulla spalla e mi rendo subito conto di essermi fatto male.
Sono inattivo da una settimana. Ne ho per almeno un mese.
Me ne sono fatto una ragione, non potendo fare altro. Ovviamente la caduta ha avuto una serie di risonanze nelle relazioni. Francesca, ancora memore della sincope, vede la mia attività sportiva sempre meno di buon occhio. L'atmosfera in casa non è così delle migliori.
Rifletto nuovamente sul significato che ha per me tanta attività.
Mi chiedo quanto ci sia di divertimento, quanto di sano e quanto invece di patologico.
Rimetto in gioco tutto, davanti alle accuse di dare la priorità allo sport rispetta al resto della vita e delle persone che mi circondano.
Non riesco a trovare un'unica risposta perchè probabilmente non ne esiste una unica. Non riesco a trovare una frase che mi assolva completamente, ma nemmeno parole che mi possano condannare del tutto.
Da tempo riconosco nello sport la mia dipendenza, sana o malata che sia. Il sudore, il cuore che batte veloce e i muscoli che fanno male mi ridanno una spiritualità persa con l'abbandono della religione. In questo senso, per quanto creda di essere materialista, mi rendo conto, come tutti, di non potere fare a meno anche di un lato meno "terra a terra". La vestizione, il rito e la doccia (come una purificazione). Gesti ripetuti che assumono un significato che ad altri può non essere subito evidente.
Mi condanna la dipendenza, mi assolve però la spiritualità e la necessità di trovare qualcos'altro, meno tangibile.
E' un modo di sentirmi vivo, sano.
Per il lavoro che faccio e per quello che sono ho imparato infatti a non lamentarmi. A sopportare più che posso. Davanti a tanto dolore altrui ho da un lato accentuato il mio autismo ma dall'altro imparato a non perdere tempo. Non sopporto i giorni inutili, quelli che scorrono nella routine. Quei giorni "furibondi, senza atti d'amore, senza calma nè vento". Anche se arrivo a casa stanco cerco e trovo (quasi sempre) l'energia per fare qualcosa. Uscirei sempre, per un gelato, un cinema, una passeggiata, una corsa, un po' di piscina e un po' di bici.
Per esperienza so che la malattia arriva all'improvviso, senza farsi annunciare. Ogni rinuncia e ogni cosa rimandata diventa così un rimorso.
Perciò cercherò di dare più tempo possibile alla famiglia e al lavoro, pur ostinandomi, come sempre, nel fare ciò che mi piace e mi dà pace.
Quindi... non mi lamento e aspetto di riprendere scarpe, pedali o di potermi tuffare in piscina.