lunedì 19 maggio 2014

La Collina di Torino, come il mare (quasi)

Torino, 19 maggio 2014 - bici 1066.8, corsa 420, nuoto 55.7 km

Oggi tutto il giorno al lavoro. Sabato 12 km con ripetute 500x8 a 3.45 con Francesca e ieri per spezzare la noia un microgiro collinare in mtb con Emiliano, che per la prima volta vedo sui pedali. Il medio di Candia si avvicina e non riesco a capire se sono abbastanza in forma o no. Domani ho in programma un lungo di corsa, anche per mettermi alla prova.

Oggi un post dedicato agli scenarie delle mie escursioni e dei miei allenamenti: la Collina di Torino.

Vero, a Torino non c'è il mare (come cantavano gli Statuto). E con il mare non si può competere, indubbiamente.

Un contentino però ce l'hanno dato: la collina. Abbiamo la Collina di Torino. Nulla a che vedere con le distese azzurre, le onde, le burrasche e l'aria salmastra, ma come premio di consolazione non è male, lo giuro.

La Collina di Torino. Scoscesa verso la città, si è salvata dal troppo cemento proprio grazie alle sue pendenze. Più dolce a scendere sul lato sud-est, verso Chieri, confusa nel Monferrato a est.

E' terra di grandi convivenze e contraddizioni: parchi di ville, madame in SUV, ciclisti sudati, coppiette appartate, guardoni, podisti, boschi, acquitrini e nelle radure qualche pianta di canapa.
Discese mozzafiato e salite che spezzano le gambe.

Cesare Pavese
E' lo scenario dei racconti gonfiati dei bikers e dei ciclisti, ma è stato anche un luogo dove è passata la Storia, quella vera. Qua e là si possono ancora vedere i fori nei muri delle fucilazioni dei partigiani.
I luoghi di Pavese sono ancora tutti riconoscibili: nella Casa in Collina si parla della Fontana (la Fontana dei Francesi? Ristorante ora chiuso e trasformato in condominio), l'Eremo dei Camaldolesi, Santa Margherita.
Mentre si sale alla Maddalena, attraverso il Parco della Rimembranza si scandiscono le pedalate con il nome sulla targa degli alberi, ad ognuno il nome e il cognome di un soldato caduto nella Grande Guerra.
Nella zona di Superga, il nostro grande e bellissimo meringone, alcuni vecchi ricordano ancora il rombo dell'aereo e lo schianto del Torino.

Da bambino con mio fratello risalivo  i ruscelli (il mitico Rio di Via Lavazza) sognando di arrivare alla sorgente, un luogo magico e immaginario da dove tutto doveva avere un inizio, anche simbolicamente, correvo nei pochi prati superstiti alle ville e giocavo al piccolo speleologo in un pozzo sotterraneo (roba da folli, da lasciarci la pelle).

Ora ci gioco, come un vecchio bambino. Prendo i tempi con la bici da corsa sulle salite più dure: la Sassi-Superga, Strada Santa Brigida sono i miei piccoli Agnello o Stelvio. Scendo con gli amici dalle pietraie di Superga con la montain bike e mi perdo nei boschi. Mi alleno in salita di corsa.

E' un luogo intriso di magia e ricco di simboli personali.

Gli itinerari:
Sono troppi da elencare in un unico post. In futuro, tempo permettendo dedicherò a ogni itinerario una pagina.
Ce ne sono da affrontare in bici, in mtb, o con le scarpe. Si possono scegliere percorsi di qualsiasi lunghezza. Quello che in genere cambia poco è la fatica. La pendenza da Torino è infatti sempre notevole, da qualsiasi parte si voglia scavalcare la collina.

Dentera di Superga
Per quanto riguarda la bici da corsa i valichi più semplici sono la Strada della Rezza (da Castiglione Torinese a Chieri), la Strada "del pino vecchio" (Sassi - Pino - Chieri). Se invece si vuole scavalcare la collina attraverso pendenze più difficili si può scegliere tra numerose salite: la mitica Sassi-Superga, Strada Santa Brigida (da Moncalieri al Parco della Maddalena), tutte le strade che portano alla Maddalena (dal lato dell'Eremo o da Val Salice). Insomma c'è solo l'imbarazzo della scelta.

Il modo più facile per scavalcare la collina è in realtà quello del "disonore": ovvero caricare la bici sulla dentera di Sassi, abbioccarsi sul trenino e fare solo la discesa... non fa per me.

I sentieri (mtb o piedi) sono numerosissimi. Alcuni sono impraticabili per le biciclette, altri sono sconsigliati ai pedoni perchè percorsi in bici e soprattutto in discesa (esempio il sentiero 29, la mitica 600 o la stradina della chiesetta della Maddalena).
Sono tutti numerati e ricchi di segnalazioni. Alcuni sono preparati, con tanto di ponti di legno e parabole, altri si perdono in acquitrini melmosi dai quali diventa impossibile uscire. C'è solo da scegliere e una sola certezza: ci si perde sempre.


I parchi:
Angelo della Vittoria

Il Parco della Rimembranza evoca la storia. Ti premia perchè alla fine della salita di aspetta un angelo, l'Angelo della Vittoria che per chi si è sudato la salita ha una valenza tutta personale. Dietro l'Angelo (e la tua Vittoria) e davanti un panorama mozzafiato su Torino e tutto l'arco alpino. Un dedalo di sentieri, panchine e alberi-soldato.

Parco della Rimembranza
Il Parco di Superga è suo fratello. Al posto dell'Angelo, il Meringone. Il panorama è lo stesso, altrettanto grandioso. E' più selvaggio della Maddalena, pieno di sentieri meno curati e spesso battuti solo dai molti cinghiali.
Nel parco la Panoramica (Strada dei Colli): una strada con il limite dei 30 km/h, con il divieto alle moto (imposto dopo una serie di incidenti mortali). Una strada che nel tempo si è trasformata in un enorme palestra a cielo aperto per ciclisti, podisti o chiunque voglia cimentarsi negli sport più assurdi. Da Pino a Superga, sulla cresta delle colline. Dalla "Pano" partono i sentieri più famosi: la "Cambogia", la "600", il sentiero degli alberi.

E poi altri: il Parco Europa di Cavoretto, Villa Genero, Parco Leopardi.


Insomma, questo è il mare di cui per il momento ci dobbiamo accontentare, in attesa che qualcosa cambi e le onde arrivino davvero.



sabato 10 maggio 2014

Triathlon di Andora, cronaca

Torino, 10 maggio 2014. Bici 955, Corsa 379.2, Nuoto 51.8 km

Sabato 3 maggio


Sono a casa e sul letto ho una montagna di roba: body, muta, occhialini, occhialini di riserva, cuffia in neoprene, vaselina (due tubetti, non si sa mai), antiappannamento per occhialini, due cinture portanumero (una per me e l'altra per Angelo), uno smanicato, il casco, scarpe da corsa, scarpe da bici, due zaini, guanti di lattice, tuta da ginnastica, asciugamano, accappatoio...

Il livello di agitazione da gara è già elevato e  tale da poter generare disastri di indicibile gravità (come dimenticare a casa le scarpe o altro di essenziale). Questa volta però mi sono portato avanti e da una settimana ho redatto una splendida e molto professionale check list, con elencato tutto il materiale da portare.
Ho imparato cos'è una check list quando lavoravo nel 118: è fondamentale per sapere cosa c'è nello zaino e per essere sicuro di non dimenticare nulla. Così, invece di adrenalina, prednisone o amiodarone eccomi un sabato pomeriggio a riempire uno zaino per un'avventura sportiva.

Non sono mai stato così organizzato e temo che domani il Dio dello Sport vorrà punire il mio cambiamento con una qualche sciagura meteo. Controllo ancora una volta le previsioni (come sto facendo ogni 6 ore da circa 10 giorni): confermato il bel tempo. Forse riuscirò a evitare il diluvio dell'anno scorso.

Verranno anche Francesca e Marta, convinte dalla giornata di sole.
Mentre rivoluziono l'armadio dello sport (il 90% del mio spazio armadi, ovviamente), Francesca è sul balcone a fumare ansiosa... patisce le gare, le mie.

Domenica.
Finalmente, è arrivato il giorno. Gli ultimi preparativi. La bici a bordo e alle 9 eccoci per strada. La macchina è il solito circo: zaini, bici, giocattoli di Marta sparsi qua e là, briciole, merendine, Francesca che spegne la musica, io che la riaccendo e Marta che vuole ascoltare ossessivamente e continuamente Hey Jude: ha 4 anni ed è già una maniaca dei Beatles. E' una superfan dei Fab Four, e se anche sono orgoglioso dei suoi gusti musicali, confesso che alla quindicesima ripetizione di Hey Jude comincio ad averne abbastanza.

Con mezz'ora di ritardo siamo ad Andora. Arriviamo e, inaspettamente, piove. Incredibile, contro ogni previsione... Mi coglie la solita colica addominale da pre-gara e devo correre a cercare un bagno per evitare un disastro entero-cosmico.
Esco dal bagno asintomatico e rigenerato. Nel frattempo la nuvola dell'impiegato è sparita e nel cielo splende il sole. Niente mal di pancia e niente pioggia: un'altra vita!

Ritiro il pettorale al gazebo di Torino Triathlon. Saluto i pochi che conosco. Mancano due ore ed è ora di fare l'ultimo spuntino, nel frattempo aspetto che arrivino Angelo e i suoi supporter (Bruna e il piccolo Riccardo).

Il momento del pettorale e del numero alla bici è sempre emozionante. Questa volta poi in modo esponenziale, grazie a Francesca che ha tatuato ovunque e a chiunque i nostri numeri con il pennarello indelebile... come dei galeotti.

Poi mille altri momenti a seguirsi in modo vorticoso. La foto di gruppo con Torino Triathlon: tutti belli, muscolosi e giovani, anche i 65enni, davvero. Si apre la zona cambio e sistemo bici e scarpe. Focalizzo fila e posto della bicicletta, ben consapevole che quando arriverò dal nuoto sarò vigile, ma confuso e disorientato nel tempo e nello spazio. Poi indosso la muta e mi vesto da ninja.


Ora ci ingabbiano. Parte la batteria delle donne, poi la seconda, la terza, quarta, quinta... finalmente tocca a noi, gli ultimi. La frequenza cardiaca sale. Siamo sulla spiagga... si parte.
In acqua, nella bolgia. Parto a destra perchè la corrente viene da quella direzione. Hanno tutti il mio pensiero e partono tutti a destra. L'acqua gelida sul viso, come uno schiaffo. Poi spallate, schiuma e gente che mi sfiora i piedi. La prima boa. Verso la seconda, con fatica perchè controcorrente. A riva.


In bici faccio più fatica del previsto. Non riesco a stare nei gruppi e mi trovo a essere quasi sempre praticamente da solo. Scoprirò poi alla fine di avere montato male la ruota anteriore e di avere un pattino a contatto con il cerchione. Che imbecille... L'ultima batteria è poi la più penalizzante perchè basta ritardare e perdere il gruppo principale per non avere ruote a cui attaccarsi. Per fortuna sono solo 20 km.


Incrocio Angelo che pedala verso il giro di boa, gli urlo un ciao.

Guardo il cronometro e mi rendo conto di essere in ritardo di almeno 5 o 6 minuti rispetto all'anno scorso. La rampa finale e l'unica discesa, corta ma ripida. Tocco i freni e la ruota di dietro si blocca, facendomi scodare paurosamente. Non cado. Ho imparato: mai lubrificare la catena e non pulire il cerchione prima di una gara. Così mi sento doppiamente cretino: una ruota mezza bloccata e l'altra unta!

Infine la corsa. Bene. Non forzo e riesco a procedere intorno ai 4.30 min/km. Recupero molte posizioni.

Al traguardo ci sono Francesca, Marta, e Bruna. Il tappeto blu, e lo striscione dell'arrivo: sempre una grande emozione.
1.27.00, ben 6 minuti in più dell'anno scorso. Sono soddisfatto comunque, mi sono divertito.

All'arrivo però l'atmosfera ha qualcosa di negativo. Non c'è musica, non si festeggia. Sento che qualcosa non è andato per il verso giusto.

Oggi in acqua è mancata una persona. Ha avuto un malore (un infarto, si scoprirà poi) e la salma è ancora sulla spiaggia avvolta in un telino argentato, all'ombra di un ombrellone.
"Era il suo destino", mi dico e lo sport non c'entra nulla.

E' stata comunque una doccia fredda che ha impedito di trasformare questa bella giornata in una giornata mitica.
Certo, sono abituato a sentire storie di enorme sfortuna, faccio il medico e lavoro anche in un pronto soccorso. La malattia o peggio arriva e nella maggiorparte dei casi non preavvisa. Ho collezionato centinaia di storie e so che l'unico modo di sopravvivere a tutto ciò è continuare a vivere. Bisogna divertirsi e proprio perchè il cronometro non si ferma, bisogna vivere alla grande, senza sprecare tempo. Questo è il mio modo di difendermi.



Questa volta però si è aperta un piccola crepa nel meccanismo di difesa. Questa persona aveva pochi anni più di me e come me aveva una famiglia, un figlio, sulla spiaggia. Soprattutto, come me, si sentiva così in forma da affrontare un triathlon...

Mi vengono in mente le parole di una canzone di Lolli, dedicata a Marco Pantani:

Nel paese dei Balocchi è notte nera...
una bici da corsa rovesciata
e con le ruote che girano per aria

(Lolli, Le Rose di Pantani)