Sabato 3 maggio
Sono a casa e sul letto ho una montagna di roba: body, muta, occhialini, occhialini di riserva, cuffia in neoprene, vaselina (due tubetti, non si sa mai), antiappannamento per occhialini, due cinture portanumero (una per me e l'altra per Angelo), uno smanicato, il casco, scarpe da corsa, scarpe da bici, due zaini, guanti di lattice, tuta da ginnastica, asciugamano, accappatoio...
Il livello di agitazione da gara è già elevato e tale da poter generare disastri di indicibile gravità (come dimenticare a casa le scarpe o altro di essenziale). Questa volta però mi sono portato avanti e da una settimana ho redatto una splendida e molto professionale check list, con elencato tutto il materiale da portare.
Ho imparato cos'è una check list quando lavoravo nel 118: è fondamentale per sapere cosa c'è nello zaino e per essere sicuro di non dimenticare nulla. Così, invece di adrenalina, prednisone o amiodarone eccomi un sabato pomeriggio a riempire uno zaino per un'avventura sportiva.
Non sono mai stato così organizzato e temo che domani il Dio dello Sport vorrà punire il mio cambiamento con una qualche sciagura meteo. Controllo ancora una volta le previsioni (come sto facendo ogni 6 ore da circa 10 giorni): confermato il bel tempo. Forse riuscirò a evitare il diluvio dell'anno scorso.
Verranno anche Francesca e Marta, convinte dalla giornata di sole.
Mentre rivoluziono l'armadio dello sport (il 90% del mio spazio armadi, ovviamente), Francesca è sul balcone a fumare ansiosa... patisce le gare, le mie.
Domenica.
Finalmente, è arrivato il giorno. Gli ultimi preparativi. La bici a bordo e alle 9 eccoci per strada. La macchina è il solito circo: zaini, bici, giocattoli di Marta sparsi qua e là, briciole, merendine, Francesca che spegne la musica, io che la riaccendo e Marta che vuole ascoltare ossessivamente e continuamente Hey Jude: ha 4 anni ed è già una maniaca dei Beatles. E' una superfan dei Fab Four, e se anche sono orgoglioso dei suoi gusti musicali, confesso che alla quindicesima ripetizione di Hey Jude comincio ad averne abbastanza.
Con mezz'ora di ritardo siamo ad Andora. Arriviamo e, inaspettamente, piove. Incredibile, contro ogni previsione... Mi coglie la solita colica addominale da pre-gara e devo correre a cercare un bagno per evitare un disastro entero-cosmico.
Esco dal bagno asintomatico e rigenerato. Nel frattempo la nuvola dell'impiegato è sparita e nel cielo splende il sole. Niente mal di pancia e niente pioggia: un'altra vita!
Ritiro il pettorale al gazebo di Torino Triathlon. Saluto i pochi che conosco. Mancano due ore ed è ora di fare l'ultimo spuntino, nel frattempo aspetto che arrivino Angelo e i suoi supporter (Bruna e il piccolo Riccardo).
Il momento del pettorale e del numero alla bici è sempre emozionante. Questa volta poi in modo esponenziale, grazie a Francesca che ha tatuato ovunque e a chiunque i nostri numeri con il pennarello indelebile... come dei galeotti.
Poi mille altri momenti a seguirsi in modo vorticoso. La foto di gruppo con Torino Triathlon: tutti belli, muscolosi e giovani, anche i 65enni, davvero. Si apre la zona cambio e sistemo bici e scarpe. Focalizzo fila e posto della bicicletta, ben consapevole che quando arriverò dal nuoto sarò vigile, ma confuso e disorientato nel tempo e nello spazio. Poi indosso la muta e mi vesto da ninja.
Ora ci ingabbiano. Parte la batteria delle donne, poi la seconda, la terza, quarta, quinta... finalmente tocca a noi, gli ultimi. La frequenza cardiaca sale. Siamo sulla spiagga... si parte.
In acqua, nella bolgia. Parto a destra perchè la corrente viene da quella direzione. Hanno tutti il mio pensiero e partono tutti a destra. L'acqua gelida sul viso, come uno schiaffo. Poi spallate, schiuma e gente che mi sfiora i piedi. La prima boa. Verso la seconda, con fatica perchè controcorrente. A riva.
In bici faccio più fatica del previsto. Non riesco a stare nei gruppi e mi trovo a essere quasi sempre praticamente da solo. Scoprirò poi alla fine di avere montato male la ruota anteriore e di avere un pattino a contatto con il cerchione. Che imbecille... L'ultima batteria è poi la più penalizzante perchè basta ritardare e perdere il gruppo principale per non avere ruote a cui attaccarsi. Per fortuna sono solo 20 km.
Incrocio Angelo che pedala verso il giro di boa, gli urlo un ciao.
Guardo il cronometro e mi rendo conto di essere in ritardo di almeno 5 o 6 minuti rispetto all'anno scorso. La rampa finale e l'unica discesa, corta ma ripida. Tocco i freni e la ruota di dietro si blocca, facendomi scodare paurosamente. Non cado. Ho imparato: mai lubrificare la catena e non pulire il cerchione prima di una gara. Così mi sento doppiamente cretino: una ruota mezza bloccata e l'altra unta!
Infine la corsa. Bene. Non forzo e riesco a procedere intorno ai 4.30 min/km. Recupero molte posizioni.
Al traguardo ci sono Francesca, Marta, e Bruna. Il tappeto blu, e lo striscione dell'arrivo: sempre una grande emozione.
1.27.00, ben 6 minuti in più dell'anno scorso. Sono soddisfatto comunque, mi sono divertito.
All'arrivo però l'atmosfera ha qualcosa di negativo. Non c'è musica, non si festeggia. Sento che qualcosa non è andato per il verso giusto.
Oggi in acqua è mancata una persona. Ha avuto un malore (un infarto, si scoprirà poi) e la salma è ancora sulla spiaggia avvolta in un telino argentato, all'ombra di un ombrellone.
"Era il suo destino", mi dico e lo sport non c'entra nulla.
E' stata comunque una doccia fredda che ha impedito di trasformare questa bella giornata in una giornata mitica.
Questa volta però si è aperta un piccola crepa nel meccanismo di difesa. Questa persona aveva pochi anni più di me e come me aveva una famiglia, un figlio, sulla spiaggia. Soprattutto, come me, si sentiva così in forma da affrontare un triathlon...
Mi vengono in mente le parole di una canzone di Lolli, dedicata a Marco Pantani:
Nel paese dei Balocchi è notte nera...
una bici da corsa rovesciata
e con le ruote che girano per aria
(Lolli, Le Rose di Pantani)
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