giovedì 23 aprile 2015

Tuttadritta una gara da sincope

Torino, 22 aprile 2015 - bici 858 km, corsa 384 km, nuoto 35



Tuttadritta 2015

Dopo tanti alti e toni medi ecco il tonfo, in basso.

arriva il nulla
Parto bene, davanti e tengo un ottimo ritmo (per le mie possibilità, ovviamente). Passo i 5 km con un tempo di 19 minuti circa. Tutto molto bene, per ora. Ai 7 km comincio però a patire, troppo. Sento caldo e comincio a rallentare. All'ottavo km vedo il traguardo vicino. Ancora poco, ancora poco. Del nono km ricordo ancora il cartello. Poi il buio assoluto, il nulla della Storia Infinita. Forse la reminiscenza di qualcuno che mi sostiene, ma non ne sono certo.
Mi risveglio al posto di primo soccorso della Croce Rossa. Sono svenuto, o meglio, per essere corretti anche in medichese, "sono sincopato".

Non so nemmeno se ho tagliato il traguardo.

Sto bene, non ho male da nessuna parte. Mi sento però tremendamente confuso. Vorrei chiamare al telefono Francesca per tranquillizzarla, da subito. Mi sento stordito, forse anche un po' shockato, emotivamente. Non ricordo nessuno numero di telefono. Solo quello del DEA di Chivasso dove, in teoria, molto in teoria, questa notte dovrei lavorare. Telefono per dire che non ci sarò. Faccio impazzire il povero medico della postazione della CRI. Non riesco a identificarmi pienamente nella figura del malato, mi sento troppo medico e devo dire la mia. Non c'è peggior paziente di un medico, proprio vero.
Mi portano poi al Mauriziano dove conosco molte persone.
Gli esami vanno bene, il tracciato va bene e io sto bene. La confusione è passata e ricordo nuovamente tutti i numeri.
Nel frattempo arriva Francesca che ho fatto chiamare dalla palestra, grazie a Matteo che mi ha visto imbarcare sull'ambulanza e a cui ho chiesto di avvisare i Ronchi. Un gran giro di telefonate, purtroppo, notizie solo indirette. Nulla che la possa avere tranquillizzata. Arriva tremante, più spaventata di me. Del resto, a differenza di lei, so bene cosa mi è successo. Ho esagerato in una giornata un po' storta.

Arrivano anche i miei, anche loro reduci da Tuttadritta.

Mi dimettono. Sto bene. Francesca un po' meno.

Scoprirò guardando le classifiche di avere tagliato il traguardo, e di averci messo 20 secondi in più del mio personale.

Insomma, una disavventura che però mi ha lasciato una serie di insegnamenti che mi saranno utili nella vita di tutti i giorni, in quella lavorativa e sportiva.

Ho vissuto l'urgenza dall'altro lato, quello del paziente. Quello del debole.

Conosco bene i volontari della Croce Rossa. Sono quelli che mi portano i pazienti in ambulatorio o in DEA. Ci ho lavorato insieme quando facevo "il Mike" sulle ambulanze del 118. Non sempre ne ho valutato positivamente l'operato. Dal punto di vista sanitario, spesso (ma non sempre) sono carenti. Sovente sono anziani, mal formati e molto poco preparati riguardo le nozioni mediche più elementari. In questa occasione ho però avuto modo di valutare il lato "umano", in altre parole quell'assistenza non strettamente sanitaria, che in situazioni di difficoltà ha però un gran valore. Stavano lì ad aiutare me, un cretino che ha chiesto troppo al proprio corpo, gratis, o in cambio di un grazie che probabilmente non tutti gli concedono.

La confusione che ho avuto in testa, nei momenti successivi alla perdita di coscienza, mi ha fatto riflettere su come le sincopi, soprattutto in DEA, vadano gestite diversamente da come in passato ho fatto (e come nella maggiorana dei miei colleghi fanno). Dopo un episodi del genere, anche considerando l'impatto emotivo, l'attendibilità del paziente è veramente scarsa. Sintomi prodromici, dolore correlato e altre informazioni che il paziente ci può dare valgono poco. Da malato ho vissuto tutto in modo confuso e alle domande dei colleghi ho potuto dare solo delle risposte tanto vaghe quanto sincere. Ho imparato che l'anamnesi nella sincope vale molto poco. Non bisogna fidarsi, non troppo, di quanto dice il paziente.

Nella mia esperienza di atleta (ovvero di chi gioca a farlo). Credo che per superare o, in questo caso, non superare più i propri limiti sia bene conoscerli. Sapere fin dove si può arrivare e quando è meglio tirare il freno. Atleticamente ne esco da un lato più debole, avendo scoperto qual è il limite, dall'altro più saggio e più capace nel gestire le mie risorse.

Così è probabilmente anche nella vita.. i limiti ci sono anche se non sempre sono chiari.

Poi gli amici. La solidarietà che stringe chi fa sport di fatica. Quante persone si sono interessate! Facebook, Whatapp intasati. Grandi.

Francesca... da questa storia (di per sè banale e assolutamente di nessuna gravità fisica) ne esce un po' meno bene. Ancora deve recuperare dallo shock. La comunicazione dai Ronchi del mio viaggio, tuttodritto, vs l'ospedale l'ha devastata.
Ora si fida poco, quando le dico di stare serena, che nulla può succedere.
La sua ansia riguardo alle mie "imprese" è cresciuta parecchio.
D'altro canto da questa disavventura spero di avere imparato ad affrontare queste competizioni in modo diverso, più sereno e più sicuro.

Voglio guardare meno il cronometro e ascoltare più il cuore.

Non posso fare a meno di fare ciò che sono. Mi impegnerò però a farlo meglio.

sabato 4 aprile 2015

Letture: Giorgio Mortara: malato di sport

Torino, 4 aprile 2015 - bici 698, corsa 331, nuoto 26 km

Si procede, in direzione della 70.3 di Candia. Tra una settimana l'agonia di Tuttadritta. Mi sto allenando in modo costante, senza troppi picchi. 
Sto facendo più km in bici ma, ahimè, un po' meno in piscina.



MALATO DI SPORT, Giorgio Mortara





Marco Olmo
Hanno lo stesso sguardo. Potrebbe essere scambiato per un velo di tristezza. Altre volte sembra guardino oltre, più lontano degli altri, o piuttosto che siano persi in chissà quale altra dimensione temporale. Forse sono solo stanchi o così rilassati dalle endorfine da sembrare assenti.

E' lo sguardo degli sportivi veri. Dove "vero" non è il campione o
Il Pirata
chi ha raggiunto la fama. "Vero" è chi ha adottato lo sport per vivere in modo diverso. Chi ha trovato un diverso punto di vista sulla propria esistenza.
Lo sguardo di Pantani, di Marco Olmo, di Walter Bonatti, ma anche di quello di tanti altri meno celebri ma altrettanto "malati di sport", come Giorgio Mortara.

Walter Bonatti

Giorgio Mortara è molto malato. Molto più di me e da molto più di tempo di me, fosse anche solo per una questione anagrafica. E' ben cosciente del suo stato e molto affezionato alla sua patologia.


E' stato contagiato attraverso la corsa, la madre di tutti gli sport. E' iniziata così, come un banale raffreddore, ed è poi sforciato tutto in una variopinta e complicatissima sindrome: maratona, triahlon, iron man, sci di fondo, winter triathlon, corse in montagna e molto altro.
Si è trasformato fino a identificarsi nella propria patologia, senza però mai perdere la lucidità e la consapevolezza del suo stato. E' rimasto capace di prendersi in giro, di fare autoironia senza rischiare di cadere nel ruolo dell'esaltato, dell'eroe.

Già prima di sapere di lui, nei primi mesi di iscrizione ai Ronchiverdi, mi chiedevo chi fosse questo strano signore, magro, sempre presente e conosciuto da tutti.
Chi fosse poi il Mortara che mi aveva dato 1 minuto e fischia nella classifica  di Tuttadritta, gara dove avevo fatto il mio tempo sui 10 km (41.40).
Solo in un secondo momento ho collegato nome e volto.


Giorgio Mortara
Nel suo libro "Malato di Sport", il primo, racconta della sua vita ovvero (sono in gran parte
sinonimi) della sua vita sportiva. Gli allenamenti, le gare. Tabelle, successi e delusioni.
Confessa gli stati d'animo, tanto simili a quelli che mi capita di vivere, prima e durante gli allenamenti o le manifestazioni agonistiche. Racconta anche di un infortunio grave, di quando è stato travolto da una bici mentre correva, poco lontano dai Ronchi. Un grave trauma cranico con la perdita di motilità e sensibilità degli arti inferiori. Un momento di grande panico... quanto di peggio possa temere uno sportivo. Nero assoluto. Poi però la ripresa, la rivincita e il ritorno alle gare. I mondiali con la divisa della Nazionale. Il passaggio da tedoforo attraverso il centro di Saluzzo.
Racconta della fratellanza che si ritrova nella fatica con i compagni e avversari di gara. I "Fratelli" di Ungaretti, fratelli minori, in periodo di pace.
Incontri durante le gare con personaggi e grandi campioni.

Chi poi fa sport come me non può che sentirsi subito coinvolto e convivere con l'autore adrenalina, avventura e vittorie. Nelle pagine sono poi sparsi luoghi e nomi a me noti. Nonostante mi senta assolutamente parziale mi sento però di consigliare a tutti questa lettura. E' un libro scritto bene, capace di divertire anche qualcuno meno sportivo e meno inserito nello sport torinese.

Oggi ho incontrato Giorgio in palestra e gli ho subito chiesto una copia del secondo libro "Ti allenerai mica anche oggi?". Ha cercato nella sua enorme macchina (adatta al trasporto di qualsiasi genere di attrezzatura sportiva) e me ne ha lasciata una copia.  Racconta delle risonanze che la sua vita da sportivo ha nel rapporto con i familiari e il resto del mondo... ma questo è un libro che ancora devo e che non vedo l'ora di leggere.